Italia apripista del riciclo chimico per rivoluzionare la filiera della plastica

Genova - Da tre settimane alla Garbo, industria chimica della provincia di Novara, è in corso un esperimento che potrebbe migliorare il nostro rapporto con le plastiche.

Genova – Da tre settimane alla Garbo, industria chimica della provincia di Novara, è in corso un esperimento che potrebbe migliorare il nostro rapporto con le plastiche. L’azienda ha messo in piedi un impianto pilota per il riciclo chimico del polietilene tereftalato o Pet comunemente usato per le bottiglie d’acqua. Riciclare chimicamente vuol dire in questo caso riportare il Pet ai suoi componenti originari, da riutilizzare come materia prima per fare nuovo Pet. Il Corepla, consorzio nazionale per il recupero delle plastiche, segue da vicino il progetto.

Federchimica PlasticsEurope Italia, associazione italiana dei produttori di materie plastiche, considera il riciclo chimico la via maestra che sarà presto seguita da «primarie aziende in Europa e in Italia». Il punto di partenza è critico. Massimo Covezzi, industriale e presidente di Federchimica, lo sintetizza in due percentuali. «La Germania ricicla il 40% della plastica, l’Italia il 13%». Il riciclo chimico può essere di grande aiuto. Il suo procedimento, ridotto a schema qui a fianco, è illustrato in parole semplici dal responsabile ricerca di Corepla, Antonio Protopapa: «Il Pet viene portato a temperature molto alte e depolimerizzato, ricondotto ai “mattoncini” che lo compongono, il monoetilenglicole e l’acido perastatico, a quel punto riutilizzabili». La forma di riciclo in vigore oggi è quella cosiddetta meccanica e che consiste nel selezionare, lavare, asciugare e frammentare le bottiglie in scaglie piccolissime inviandole poi alle aziende che ne fanno bottiglie nuove. Ma il sistema è molto più macchinoso ed è applicabile solo alle bottiglie e nemmeno a tutte: non a quelle di plastica opaca, usate per confezionare oli, latte ad alta digeribilità e yogurt, né agli altri oggetti dello stesso materiale. Con il riciclo chimico invece avremo risolto la parte maggiore dei problemi delle plastiche, «tutti problemi che – precisa Massimo Covezzi – riguardano il fine vita di questo materiale, che è sempre stato e rimane indispensabile e pulito, purché usato bene». Dal 2021 in Europa sarà vietato l’uso di piatti, forchette o cotton-fioc di plastica. È una delle iniziative varate dalla Commissione di Bruxelles per ridurre la “marine litter”, la spazzatura del mare al 70% composta proprio da piatti, forchette e simili. Secondo Massimo Covezzi, è un’iniziativa poco lungimirante.

«Delle quasi 10 tonnellate di anidride carbonica che ogni anno ognuno di noi genera, solo una minima parte, lo 0,3%, dipende dagli imballaggi in plastica. Un centro di ricerca tedesco ha calcolato che se noi sostituissimo la plastica con materiali alternativi passeremmo allo 0,6%, il doppio di Co2. Il problema della “marine litter” c’è, è indubbio. Ma è in larga parte un problema di educazione. La plastica non ha le gambe. Finisce in mare per colpa nostra». I sei chili di plastica trovati nello stomaco della balena spiaggiata i giorni scorsi vicino al parco nazionale di Wakatobi, in Thailandia, sono un risultato di questa maleducazione. La vera minaccia per l’ambiente, come ricorda Marco Faimali, arriva dalle microplastiche.

«I nostri studi ci fanno capire che l’effetto della plastica sull’ecosistema è poco evidente e poco acuto. Ma non sappiamo ancora nulla delle microplastiche». Faimali è responsabile della sede genovese dell’Ias, Istituto per gli impatti antropici e la sostenibilità del Cnr. «Raccogliamo le plastiche dal mare con reti che hanno maglie di 333 micron. Tutto ciò che è più piccolo sfugge, e potrebbe danneggiare gli organismi». Insieme a una ventina di partner stranieri e a un’azienda italiana, la Iris di Torino, l’Ias Cnr partecipa a un progetto europeo, chiamato Claim, sullo sviluppo di metodi innovativi per ridurre la sporcizia in mare.

Le microplastiche sono insidiose e numerosissime. Le elaborazioni al computer degli studiosi dicono che nei mari ce ne sono almeno 51 mila miliardi di esemplari. Molte nascono dalla decomposizione di plastiche più grandi, molte altre, come le microparticelle di certi dentrifici o creme, sono state disegnate così all’origine, per dare più brillantezza ai denti o massaggiare la pelle. Ma forse possono essere fermate. «Stiamo lavorando – spiega Faimali – a un sistema di trattamento delle acque di scarico in grado di filtrare le microplastiche e di prevenirne l’immissione in mare».

Parla l’imprenditore

Guido Fragiacomo deve sentire sulle spalle tutto il peso della responsabilità. Se la sua scommessa andrà a buon fine, potrà dire di avere aperto la strada al riciclo delle plastiche, quello vero. «Finora su 70 milioni di tonnellate di Pet raccolti ogni anno nel mondo, solo il 10% è recuperato. Il resto finisce negli inceneritori o in discarica». Nella sua ditta, la Garbo srl di Cerano, provincia di Novara, Fragiacomo ha appena avviato un impianto per il riciclo chimico del Pet dove bottiglie, vaschette ed altri materiali entrano integri uscendo sottoforma di polvere bianca. Quella polvere bianca è il monomero del Pet, il suo mattone fondamentale, e può essere reimpiegata per produrre a sua volta nuovo Pet.

«Siamo in trattativa con due multinazionali che oggi, come tutti nel ramo, fanno Pet impiegando solo materia prima vergine e domani potranno ottenere lo stesso risultato mescolando, alla materia vergine, fino a un 40% del nostro monomero». L’impianto di Cerano, con una capacità da 30 mila chili al mese, è il primo passo verso qualcosa di più grande, da 50 tonnellate di Pet al giorno. «Tutto è già in agenda. Vogliamo realizzarlo entro la fine dell’anno prossimo, con un investimento complessivo che alla fine sarà di 21 milioni». Il 10% di Pet oggi recuperato nel mondo viene riciclato col metodo cosiddetto meccanico. In estrema sintesi, con una frammentazione della plastica in scaglie sottilissime da usare per fare nuove bottiglie. Il metodo meccanico funziona solo con una piccola parte dei poliesteri in circolazione. «Il riciclo chimico riesce invece a intercettarne una gamma molto più ampia: dalle vaschette per gli alimenti agli indumenti sintetici».

L’Europa segue con interesse, ma da lontano. «Abbiamo partecipato quattro volte alla selezione europea Horizon 2020, che premia i migliori progetti di ricerca, e ogni volta abbiamo ricevuto valutazioni molto alte ma mai un finanziamento». L’industria, invece, è più direttamente interessata. Corepla, il consorzio che riunisce tutta la filiera della plastica italiana, sta per firmare un contratto per destinare al riciclo chimico della Garbo 30 mila vaschette di Pet all’anno.